La Lucertola e il contadino

Molto tempo fa, quando nessun contadino era padrone della terra che lavorava, uno di loro, Daniele, curava un piccolo terreno di proprietà di un barone che ormai aveva più debiti che capelli in testa.

Daniele era sposato da dieci anni con Anna, la quale gli aveva regalato ben cinque figli, tre maschi e due femmine.

Il terreno che coltivava era appena sufficiente non a sfamare, ma a non far morire di fame la sua famiglia. Se la stagione andava bene, portava due polli e un po' di ortaggi al barone, se andava male gli portava solo qualche fungo che trovava nei boschi. Il barone, anche lui povero ma di buon cuore, non se la prendeva più di tanto perché sapeva che quel terreno non poteva rendere di più perché privo d'acqua e argilloso e anche a volerlo vendere non ci sarebbe stato nessuno che lo avrebbe comperato.

La casetta che abitava Daniele e la sua famiglia, che era nel mezzo del terreno, era veramente in condizioni pietose: passava aria da tutte le parti, mancavano dei vetri alle finestre e quando nevicava, qualche fiocco di neve attraversava il tetto e si posava sciogliendosi, sul viso di uno di loro.

Non c'erano topi perché probabilmente non avrebbero trovato nulla da mangiare. Con questa situazione, Daniele e Anna non avevano mai un attimo di tregua, lavoravano dall'alba al tramonto o come si diceva a quei tempi, da stelle a stelle.

Il pomeriggio di una domenica, a primavera inoltrata, nelle uniche ore che poteva dedicare ad un po' di riposo, Daniele camminava sul sentiero che lo avrebbe portato a casa del compare Giuseppe, che lo aspettava perché lo aiutasse a seminare le patate. Era infatti usanza, e in alcuni posti la è ancora, che i contadini si scambiassero questo genere d'aiuto.

Camminava preso dai suoi pensieri e sospirando parlava ad alta voce con se stesso: " Lavoro, lavoro.... e non ce la faccio neanche a comprare gli zoccoli ai miei figli, non dico le scarpe, ma gli zoccoli. Poveri figli miei, devono andare sempre scalzi."

Una lacrima gli scese dagli occhi e andò a bagnare la punta della scarpaccia che portava. Mentre si asciugava gli occhi col dorso della mano, vide, su un grosso sasso al bordo della strada, una lucertola così grande che gli fece prendere un bello spavento. Si fermò, indietreggiò di due passi e studiò con attenzione la lucertola: era grande più del doppio di una lucertola comune, verde smeraldo con delle chiazze marroni, la coda lunga come quella di un serpentello e lo guardava fisso negli occhi senza dare nessun segno di paura.

A Daniele venne in mente di catturarla e portarla ai figli per farli giocare; chissà come sarebbero stati contenti!

Tenendo d'occhio la lucertola per vedere che non scappasse, cercò un lungo filo d'erba resistente, fece un nodo scorsoio, si avvicinò alla lucertola e con un rapido gesto la catturò.

La cosa più strana fu quando l'animale, ormai prigioniero, non tentò minimamente di liberarsi rimanendo immobile e guardando l'uomo negli occhi.
Daniele rimase stupito e quegli occhietti fissi su di lui gli fecero correre dei brividi sulla schiena.
Pensò che in quel momento, la lucertola, che fino a pochi attimi prima era libera, ora era sua prigioniera e lui era padrone della vita di quell'essere che non gli aveva fatto alcun male e che per puro caso aveva incrociato la sua strada. Si vergognò di se stesso e mentre liberava la lucertola diceva:
"Perdonami, perdonami. Nessuna creatura di questa terra dovrebbe mai, senza ragione, privare un'altra della sua libertà, solo perché è più forte. Perdonami".

L'animale, ormai privo del laccio al collo, anziché scappare continuò a guardare il contadino provocandogli ben più forti brividi sulla schiena.
Daniele si mosse per riprendere la sua strada e non potè fare a meno di guardare cosa facesse la lucertola che muovendosi dietro di lui teneva sempre la testa alta come se stesse studiando le sue mosse. Si fermò e la lucertola si immobilizzo, ricamminò e la lucertola si mosse di nuovo e avanzò rispetto a lui, rigirando la testa di tanto in tanto, come per controllare se l'uomo la seguisse.
Il contadino provò a camminare più svelto, la lucertola accelerò la sua andatura e dopo una decina di minuti, all'improvviso si fermò guardandolo fisso e poi velocemente si diresse verso i cespugli al margine del sentiero.

A quel punto, Daniele pensò che la lucertola fosse arrivata alla sua tana e sparisse, forse per sempre. Riprese il suo cammino, ma con sua grande meraviglia, l'animale tornò come un fulmine, piazzandosi davanti ai suoi piedi costringendolo a fermarsi. La lucertola si diresse verso i cespugli e poi tornò davanti a lui, rifacendo questa manovra più volte. A Daniele vennero i capelli dritti perché la lucertola si comportava come i cani quando vogliono essere seguiti. Ci pensò su e prima di decidersi di seguire l'animale, calcolò che avrebbe perso poco tempo e non sarebbe arrivato tardi da Giuseppe.

La lucertola, dai cespugli si diresse verso il bosco, girandosi continuamente per verificare se Daniele stava seguendola.
Inoltrandosi nel bosco, la vegetazione si infittiva sempre di più e nonostante il sole splendesse tantissimo al disopra degli alberi, l'ombra diventava sempre più intensa.

Arrivarono in una piccola radura dove l'erba sembrava un tappeto e la lucertola l'attraversò di corsa.

Daniele, sempre più incuriosito affrettò il passo e si ritrovò di nuovo nella boscaglia fitta. La lucertola si fermò e guardò il contadino che si era fermato a sua volta e mosse la testa a destra e a sinistra come per dire "ecco siamo arrivati".

Attraverso un'intensa vegetazione, Daniele intravide un muro tirato su come si faceva nei tempi antichi, cioè con sassi e terra; si avvicinò timoroso e vide che il muro era una delle pareti di una casetta.

La lucertola rifece il movimento di prima, avanti e indietro, avanti e indietro, e Daniele capì che doveva seguirla. Svoltarono l'angolo della casetta e si trovarono davanti a una piccola, vecchissima porta dove la lucertola si pose davanti con le zampe dritte e il corpo molto sollevato da terra.
Daniele capì che la bestiola sembrava lo invitasse ad entrare in quella casetta che sembrava fatta dagli gnomi. Gli tremavano le gambe per l'emozione e anche per la paura.

Spinse piano la porta che non si aprì, poi diede una spinta più forte e anziché aprirsi, la porta cedette di schianto e finì a terra sollevando un gran polverone.

Daniele fece un passo indietro e aspettò che la polvere si posasse, poi fece capolino ma vedeva poco o niente perché l'interno della casetta era buio. Sull'uscio crollato, rivide la lucertola che lo guardava con i suoi occhietti curiosi e con il suo ormai noto movimento lo invitava a entrare.
Entrò tremante e quando gli occhi si adattarono alla poca luce che filtrava nell'ambiente, vide la lucertola arrampicarsi su un vecchio e polveroso bauletto di legno con la chiusura di ferro e dopo alcuni tentativi riuscì ad aprire la cassa.

Non potè credere a ciò che si presentò ai suoi occhi: monete d'oro, rubini, gemme, diamanti e altro.

Un vero tesoro.

Le gambe gli si fecero molli e cadde in ginocchio davanti al bauletto. La lucertola saltò nella cassa e guardava l'uomo aprendo le piccole fauci; sembrava che sorridesse. Poi cominciò a spostare con tutte e quattro le zampette le monete e le pietre preziose fino a quando non comparve la copertina di pelle rossa di un libro piccolo come un breviario, il libro sacro dei preti, con il titolo scritto in caratteri d'oro.

Daniele era andato a scuola solo fino alla terza elementare e a fatica lesse:

"LIBRO DEGLI ELFI"

Tirò fuori dalla cassa il libro, andò fuori dalla casetta per vederci meglio, 10 aprì e sulla prima pagina lesse:

Noi, scriba Espokin e Giisaghen, per ordine di Erlkonig, Re degli elfì dell'aria e degli elfì della terra, abbiamo scritto questo libro che un giorno sarà trovato, con l'aiuto di una creatura comandata da noi, da un uomo povero ma buono, amante della terra e rispettoso degli altri umani, delle piante e degli animali e di ogni cosa presente su questo pianeta, consapevole che tutto dovrà essere lasciato alle generazioni future.

11 nostro è un popolo di piccolissimi, giovani e belli, lavoriamo meravigliosamente i metalli specialmente quelli preziosi e fabbrichiamo armi per gli dèi e per gli eroi, interveniamo in aiuto degli uomini buoni, qualche volta ci burliamo di loro e quando siamo offesi ci vendichiamo crudelmente.

Viviamo in comunità più o meno grandi e siamo amici degli gnomi che conoscono il futuro, operano miracoli e custodiscono i tesori delle miniere e del mondo sotterraneo.

Come noi elfì della terra, anche gli gnomi sono insofferenti della luce del sole e vivono sotto terra o in profonde caverne nelle quali hanno dimore bellissime e anche loro sono governati da re.

In questo libro saranno trascritti tutti i segreti per vivere bene, insegnamo a riconoscere le erbe che fanno star bene, i funghi commestibili e quelli velenosi, come si lavora il ferro e l'oro e tante, tante altre cose di uso pratico. Soprattutto insegnamo a voler bene ai bambini, ai vecchi, ai deboli, ai diversi e anche ai forti che si sanno opporre ai cattivi, ai prepotenti, a coloro che non rispettano la natura e i loro simili.

Il tesoro che Re Erlkonig ha deciso di far trovare assieme con questo libro a qualcuno che lo meritasse, servirà a rendere la vita migliore di chi è stato scelto, e che dovrà a sua volta aiutare altri ad avere meno pene su questa terra. Coloro che saranno aiutati non dovranno mai sapere da dove proviene questa ricchezza.

Daniele si commosse e alcune lacrime gli scivolarono sulle gote; aveva il cuore che gli scoppiava di gioia e voleva dimostrare la sua riconoscenza alla lucertola, prendendola in mano e accarezzarla. Non vedendola là fuori rientrò nella casetta e diede un'occhiata nel piccolo ambiente. La bestiola non c'era. Cercò meglio in ogni angolo e nel bauletto, tornò fuori e cercò intorno alla casetta, guardò anche sugli alberi vicini. Niente, la lucertola era scomparsa.

Pensando che l'animale si sarebbe fatto rivedere da lì a poco, andò a rimettere le mani nel suo tesoro e anche se non aveva mai visto e quindi mai toccato niente che valesse tanto, affondando le mani nell'oro e nelle pietre preziose ebbe solo allora la sensazione di essere diventato ricco. Anzi straricco.

Solo nelle favole, raccontate vicino al fuoco nelle lunghe serate d'inverno, aveva sentito parlare di tesori che significavano ricchezza per chi li possedeva. E chi li possedeva quei tesori abitava in grandi castelli, aveva tanta servitù e non faceva assolutamente nulla.

Daniele pensò che non voleva essere così. Lui avrebbe continuato a lavorare e avrebbe aiutato tutti coloro che ne avrebbero avuto bisogno. Certo che ai suoi bambini non sarebbero mai più mancate le scarpe, e il cibo sarebbe stato bastevole per farli crescere sani e forti. A questo ultimo pensiero si commosse di nuovo e anziché piangere, si accorse con meraviglia che stava sorridendo soddisfatto.

Prese una manciata di monete e di gioielli e se la mise in tasca, chiuse il bauletto, ritirò su la porta e la sistemò meglio che potè. Infilò il libro nella camicia, riguardò in giro per vedere se la lucertola era nei paraggi, ma purtroppo l'animale era sparito.

Riprese al contrario la dirczione che lo aveva portato alla casetta, attraversò la radura e il bosco e si ritrovò sul sentiero.

Il primo istinto fu quello di tornare a casa e raccontare alla moglie ciò che gli era successo, poi ci ripensò e decise di non dire mai niente a nessuno perché se avesse detto cosa gli era capitato veramente, lo avrebbero preso per matto e poi avrebbe trasgredito agli ordini degli elfi, perciò decise di andare subito da Giuseppe che lo stava aspettando.

Camminò spedito per recuperare, almeno in parte, il tempo che aveva perso. Era raggiante per la fortuna che gli era capitata ma ancora non sapeva come fare a usarla. Lui era nato povero ed era consapevole di essere anche ignorante. Come avrebbe potuto fare a diventare ricco così all'improvviso?

Intanto era arrivato da compare Giuseppe che appena lo vide lo salutò con entusiasmo e gli offrì un bicchiere di vino che gradì molto.

Si misero subito al lavoro; i solchi nel campo erano già stati fatti, perciò i due contadini presero un sacco di patate per ciascuno e cominciarono a piantarle a distanze regolari l'una dall'altra. Quando le patate erano troppo grandi, le tagliavano in due e poi le posavano sulla terra. Ogni tanto Giuseppe domandava a Daniele come stava sua moglie e i bambini, se le galline facevano le uova, se il Barone si era fatto vivo; Daniele rispondeva con poche parole perché il suo pensiero era rivolto a quanto gli era successo prima. Improvvisamente gli venne un'idea che gli avrebbe consentito di aiutare l'amico senza dovergli rivelare nulla del suo segreto.

Appena ebbero finito di posare le patate, iniziarono a ricoprirle con la terra, solco per solco. Daniele, fece in modo di stare lontano da Giuseppe e non visto, prese dalla tasca una bella manciata di monete d'oro, gioielli e pietre preziose e la buttò intorno a un paio di patate, ricoprì con la terra e come se non fosse successo nulla andò avanti con il suo lavoro.

Il suo ragionamento fu questo: " Quando fra quattro, cinque mesi, Giuseppe disotterrerà le patate nuove, troverà questo piccolo tesoro e potrà comprare la casa e il terreno che lavora e non avrà più tanti pensieri e soprattutto non saprà mai che sono stato io ad aiutarlo."
Finito il lavoro, Giuseppe gli disse se voleva un altro bicchiere di vino, ma Daniele rifiutò perché aveva urgenza di tornare a casa; anzi chiese in prestito un sacco che, disse, gli sarebbe servito per mettere dell'erba fresca per i suoi conigli.

Camminò velocemente, e quando fu il momento, si inoltrò nel bosco, tornò nella casetta, mise il bauletto e dell'erba nel sacco e si avviò finalmente verso casa.

Quando da lontano avvistò la sua casa, vide che il cane, abbaiando gli andava incontro e la moglie e i bambini si facevano sulla porta agitando le braccia per salutarlo. Appena arrivò nell'aia di casa, i bambini gli corsero intomo e vedendogli il sacco in spalla gli domandarono cosa ci fosse dentro, lui rispose :

"Non vedete bambini ? C'è dell'erba per i conigli. Andate in casa che tra poco vengo anch'io. " Entrò nel pollaio dove c'erano anche le stie dei conigli, tirò fuori il bauletto e lo nascose ben bene sotto il covoncello del fieno.

Andò in casa e anche se avrebbe voluto condividere con la moglie la gioia per la sua fortuna, si costrinse a non dire niente perché così c'era scritto nel libro degli elfi. Dopo la misera cena andò a letto e per tutta la notte non riuscì a chiudere occhio. Pensava a come avrebbe potuto fare a usare il suo tesoro senza poter dire da dove gli era arrivata tutta quella grazia di Dio. Pensa e ripensa gli venne in mente una grande idea.

La mattina, appena sentì il primo chicchirichì, si alzò, andò nel pollaio e dal bauletto prese tanto oro e gioielli da riempire il cappello, prese la vanga, il piccone, alcuni pali e andò nell'orto. Preparò delle buche dove, avrebbe detto alla moglie, avrebbe piantato i pali per una piccola recinzione a difesa dell'insalata che altrimenti il cane avrebbe sciupato. In una buca, rovesciò il contenuto del cappello che ricoprì con della terra, lasciando che si vedesse però qualche moneta e qualche pietra preziosa. A quel punto cominciò, urlando, a chiamare la moglie: " Anna, Anna, vieni subito. Vieni a vedere cos'ho trovato. Vieni, presto.

La moglie, spaventata da quelle urla, corse subito nell'orto e trovò il marito in ginocchio che guardava in una buca appena fatta. " Cosa c'è? Che succede? " - disse Anna, preoccupata.

Guarda, scavando queste buche per piantare i pali, ho trovato queste. " - rispose Daniele, mostrando delle pietruzze colorate nella mano messa a conchetta.

"Cosa sono? Sono belle. Ma cosa sono? "- fece Anna prendendo in mano alcune pietruzze. Il contadino non rispose e cominciò a scavare con le mani tirando fuori, insieme alla terra, monete d'oro, rubini, lapislazzulì, zaffiri. Anna insistette: " Ma cosa sono? "

"Forse è un tesoro" - disse Daniele senza guardare la moglie. " Un tesoro? E chi lo ha messo qui un tesoro? - domandò perplessa Anna. " Ah, non lo so. Chissà da quanto tempo è qui. " rispose il marito. Nel frattempo Daniele aveva ripulito il tutto e lo aveva rimesso nel cappello. " E ora che facciamo? " - chiese Anna.

Era quella la domanda che Daniele aspettava. Il suo piano, studiato per bene nella sua notte insonne stava funzionando. Perciò rispose sicuro:
"Io non so neanche se questo è veramente un tesoro o è roba che non vale niente. Sai cosa faccio? Vado dal Barone. Lui sicuramente sa di che si tratta. D'altra parte, questa è la sua terra e quello che c'è sotto o sopra è roba sua"

Il contadino si diede una ripulita alla beli'e meglio, andò nel pollaio dove trovò una dozzina di uova da portare al padrone, trasferì i preziosi in un fazzolettone che annodò con cura e si mise in cammino. Dopo un'oretta arrivò al cancello della villa del Barone dove fu ricevuto dall'abbaiare del cane da penna che ormai aveva disimparato a cacciare, tanto era il tempo che il suo padrone aveva venduto gli schioppi per raggranellare qualche soldo; poi riconobbe Daniele e gli andò incontro scodinzolando.

Il Barone che era ancora in vestaglia da camera, vide dalla finestra arrivare il suo colono e si domandò come mai fosse venuto a trovarlo, perciò scese e andò ad aspettarlo fuori sullo scalone. " Buongiorno signor Barone " - salutò Daniele, appena fu a portata di voce. " Buongiorno Daniele. Come mai sei venuto a trovarmi? " - fece il Barone, sorridendo. Il contadino non sapeva come cominciare, così disse imbarazzato: " Signor Barone, vi ho portato delle uova fresche."

"Ma Daniele, hai fatto tutta questa strada per portarmi delle uova ? Non dovevi, mi dispiace. " - disse il Barone, mettendo una mano sulla spalla del contadino.

"No, veramente.... non è solo per le uova....è....che....stamattina.... mentre facevo delle buche per piantare dei pali....ho....ho trovato....questi. " - disse Daniele balbettando e porgendo al Barone il fagotto dei gioielli.

"Cos'è? " - domandò curioso il Barone.

"Apritelo su un tavolo, Signor Barone. " - disse timido il contadino.

Il Barone guardò il fagotto, lo soppesò, lo tastò, poi facendo cenno a Daniele di seguirlo, entrò in casa e su un tavolo sciolse i due nodi. Dal fazzolettone, tutto quel ben di Dio si aprì a macchia d'olio, brillando moltissimo ai raggi del sole che illuminavano la sala.
Il nobiluomo guardava un po' quel tesoro e un po' il contadino che se ne stava con il cappello in mano, come se stesse aspettando la sentenza di un giudice.

"Ma ....ma....questo è ....questo è.... un tesoro. " - disse il Barone balbettando a sua volta e ingoiando saliva.

Poi in silenzio, il Barone prese qualche pietra, delle monete e le studiò a lungo dicendo che quelle cose erano tutte purissime e valevano tantissimo. Si fece ripetere da Daniele come aveva fatto a trovarle, dove le aveva trovate esattamente, poi con fare nobile e solenne disse:

"Caro Daniele da oggi tu sei l'uomo più ricco di questa contea."

"No - disse deciso il contadino - l'uomo più ricco di questa contea siete voi signor Barone, perché questa roba vi appartiene. E' stata trovata sul vostro terreno, quindi è vostra."

II Barone si commosse e abbracciò Daniele dicendogli:

"Vedi, tu avresti potuto non dire niente a nessuno e andartene via con il tuo tesoro, quindi, siccome sei così generoso e dimostri di volermi aiutare, prenderò quanto basta per estinguere i miei debiti."

"No, signor Barone, io non saprei neanche cosa farci con questo tesoro, perciò facciamo così, voi riscattate tutte le vostre terre che avete sotto pegno e io mi occuperò di farle rendere bene.

Aggiusteremo le case che ora sono cadenti e metteremo a lavorare tutte le famiglie che vorranno lavorare per voi. "

II Barone commosso, abbracciò Daniele e accettò la proposta con entusiasmo e da quel giorno in tutte quelle valli e colline ci fu benessere e felicità.

Daniele, sempre senza farsene accorgere, come aveva trovato scritto sul libro degli elfi, aiutò tutti coloro che ebbero bisogno e da quando fu sistemata la sua casa, sul portale dell'uscio fu scolpita una grande lucertola e mai nessuno seppe perché.